La repressione è sempre patriarcale

Riceviamo e pubblichiamo:
La repressione è sempre patriarcale
Con questo stato d’emergenza abbiamo vissuto sulla nostra pelle una paternalizzazione dello stato patriarcale. 
In questi mesi ci hanno “educate” all’auto-etero-isolamento, alla rinaturalizzazione del lavoro riproduttivo delle donne, alla razzializzazione classista e allimposizione di un’ulteriore invasione di maschi in divisa per le strade.
Nella nostra quotidianità ci chiediamo se abbiamo più paura del contagio, della repressione o della povertà.
Ci accorgiamo che è in corso una strategia del terrore da parte dello Stato, già prima era in atto sotto il nome di democrazia eurocentrica.
Sappiamo che ogni totalitarismo si basa sulla logica dello shock e su quest’onda non poteva mancare la repressione politica ancora più mirata a colpire qualsiasi tipo di ribellione.
Quando è in corso una nuova disciplina economica, la repressione patriarcale si fa più dura. Le persone colpite dalla repressione sono chi si è opposta/o al controllo, alle galere, cpr e padronato (ultima all’area anarchica bolognese,che è stata colpita in modo particolarmente pesante, contro lo Slai cobas, contro “padroni di merda” a cui hanno dato il divieto di dimora nonostante le misure anti-covid, e contro 42 compagne/i che hanno manifestato contro il G7 a Taormina).
Siamo davanti a una riaffermazione della mascolinizzazione dello Stato. E’ indicativa la condanna alla sorveglianza speciale come soggetto socialmente pericoloso nei confronti della compagna rivoluzionaria Eddi, unica donna colpita in quel processo con una sentenza del genere. Con questa misura lo Stato ha inaugurato la repressione durante la fase 1 del covid.
Per il patriarcato statalista e capitalista la repressione è un mezzo cruciale. Non a caso questa democrazia liberale non ha potuto fare a meno del codice Rocco di epoca fascista, la cui indeterminatezza può lasciare libera interpretazione funzionale allo Stato e alla sbrirraglia del momento. Ad esempio l’art. 419 di questo codice, “devastazione e saccheggio”, toglie legittimità politica a ogni atto volto a distruggere i luoghi che sanciscono i rapporti di proprietà privata, dello Stato e del capitale.
Infatti non c’è fabbrica senza galera e non c’è razzializzazione del lavoro senza cpr. E ogni operazione repressiva è il laboratorio di quella successiva. 
Il 41 bis nasce contro la mafia per poi essere allargata ai movimenti politici. Il 270 bis nasce contro il terrorismo islamista fino ad essere applicato a ogni lotta anti-sistema.
Sta diventando ormai usuale una repressione diffusa e preventiva come quella sancita dall’art. 203 sulla “pericolosità sociale”. Con questo articolo non viene punito il reato ma l’ipotesi arbitraria dello Stato su ciò che il soggetto potrebbe fare. 
Purtroppo questa tecnica di repressione ha colpito di recente Eddi, ma è già stata sperimentata contro molte altre compagne e compagni.
Perché la repressione è sempre patriarcale?
Perché quando colpisce non riafferma soltanto il patriarcato istituzionale ma anche quello informale. Ogni lotta antipatriarcale interna, che sia dentro casa o in contesti politici, viene completamente osteggiata dalla repressione patriarcale di Stato.
 
Il patriarcato informale, similmente a quello di Stato o di qualsiasi padrone, si nasconde nella repressione che, mediante l’utilizzo sessista dell’infamia, promuove delle relazioni umane e politiche patriarcali. 
D’altra parte ogni volta che qualche compagna si ribella alla violenza patriarcale interna, l’emergenza repressiva diventa sempre il pretesto ideale con cui evitare di lavare i propri panni sporchi. 
L’attacco dello Stato, direttamente o indirettamente, fa sempre il gioco patriarcale e riafferma in continuazione delle relazioni sessiste anzichè rivoluzionarie. 
Quando una persona viene arrestata, significa che sarà necessario un lavoro economico e affettivo per sopravviviere alla violenza di Stato. La repressione mostra bene come la mascolinizzazione dello Stato non possa esistere senza la femminilizzazione del lavoro. Che la reclusione riguardi un compagno o una compagna, i colpi repressivi vengono attutiti dal lavoro riproduttivo delle compagne di vita o politiche, dalle madri, sorelle o amiche. 
La repressione è sempre patriarcale perché relega e condanna le donne al lavoro di cura di per sè completamente svalutato e non riconosciuto in termini sociali, politici ed economici. Ciò significa, nel caso del movimento, che siamo davanti al tentativo  di svalorizzazione delle donne come soggette politiche, che ci vorrebbe subalterne rispetto alla lotta. L‘autodeterminazione, però, è più forte.  
Resistere alla repressione significa non cadere nel gioco dello Stato che vuole la nostra lotta sommersa nel patriarcato. 
Non dobbiamo permettere che tutto il lavoro di cura ricada sulle spalle delle compagne. 
La solidarietà va data concretamente senza che ci sia una ripartizione sessista su ciò che è necessario fare ad ogni livello. 
Queste misure repressive fanno soltanto aumentare il nostro odio verso lo Stato patriarcale e capitalista. La repressione patriarcale riproduce solo patriarcato. 
Non possiamo che essere solidali verso chi lotta contro lo Stato, le sue galere, i suoi cpr e i suoi padroni. 
Libertà per tutte e tutti. 
Quelle che odiano tutti i maschi violenti, nessuno escluso
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