La lettera è arrivata

Lunedì 29 giugno è stata finalmente consegnata la lettera di Alaa alla madre Laila. La determinazione di questa donna e la campagna di solidarietà che si è mobilitata hanno dato un piccolo risultato e ora sappiamo che Alaa sta bene. Tuttavia di Sanaa non si hanno ancora notizie da quando è stata imprigionata. Il coronavirus è stato il pretesto per isolare ancora di più le persone recluse dal regime e sono scarsissime le notizie che riescono ad entrare e uscire dalle prigioni.

Contro ogni galera, libere tutte/i!

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Aggiornamenti su Sanaa e appello di solidarietà

Oggi Laila Soueif, la madre di Sanaa e Alaa, è tornata a denunciare la direzione carceraria per la mancata consegna della lettera di Alaa e domani riproverà. Di Sanaa sappiamo che  non le fanno entrare medicine e pomate dopo il pestaggio davanti al carcere e al momento non si hanno altre notizie.

Riceviamo e diffondiamo un appello di solidarietà di alcune compagne:

Ciao a tutte voi madri e donne,

In questi giorni in Egitto c’è stato un accanimento particolare nei confronti della famiglia di Alaa.

Alaa Abdel Fattah è un compagno che è stato in carcere per 5 anni dopo la rivoluzione del 2011, da settembre si trova nel carcere di massima sicurezza di Torah al Cairo, in carcere preventivo che può durare fino a due anni.


Da marzo dallo scoppio della pandemia i contatti con le persone detenute politicamente sono praticamente bloccati, come in Italia, ma in Egitto la ferocia del regime è ancora più brutale.

La madre di Alaa, Laila Soueif, una compagna di lotta che ci insegna sempre la determinazione, ha deciso di rimanere davanti al carcere in presidio finché non avrebbe ricevuto una lettera scritta dal figlio per assicurarsi del suo stato di salute.

Quello che invece è successo è che è stata allontanata da davanti al carcere, ma lei era determinata a lottare è comunque rimasta nella zona adiacente.

Il giorno seguente Sanaa e Mona le figlie si sono aggiunte al presidio, sempre per ricevere una lettera da parte di Alaa, ma sono state picchiate durante la notte tra il 22/23 giugno e il giorno dopo sono andate nell’ufficio del procuratore generale per sporgere
denuncia, ma Sanaa è stata rapita da guardie in borghese. Ora si trova nel carcere femminile di al-Qanater al Cairo in detenzione preventiva che può durare fino a due anni di reclusione.

Come compagne abbiamo deciso, anche per la salvaguardia di questa famiglia, di fare una campagna di solidarietà per mettere in luce quello che sta succedendo e per dare la nostra massima solidarietà a Laila Soueif, la madre, che ora dovrà andare in due carceri differenti per sapere come stanno.

Nelle pagine fb Free Alaa e Free Sanaa è possibile mandare messaggi per far sentire la nostra solidarietà:

https://www.facebook.com/freealaa2013/

https://www.facebook.com/Free-Sanaa-733604820009045/

Da oggi inizia una campagna internazionale di solidarietà mandando alle rispettive pagine fb  una foto con la seguente immagine o con un cartello autoprodotto:

Inoltre è possibile sottoscrivere e mandare, sempre nelle rispettive pagine fb, la seguente lettera per la Laila Soueif:

Cara Laila Soueif,

anche se questa non è la lettera che aspetti pazientemente e con determinazione da tuo figlio, Alaa Abdelfattah prigioniero politico, è nostra intenzione come donne e madri da tutto il mondo unire le nostre voci alla tua, chiedendo i tuoi e i suoi diritti fondamentali in tempo di pandemia.

E’ tuo diritto ricevere la corrispondenza, essere rassicurata che stia bene e sulle sue condizioni di salute nonostante la detenzione.

Abbiamo seguito con molta rabbia cosa è successo a te e alle tue figlie Sanaa e Mona tra il 22 e il 23 giugno, quando a gran voce dicevi: “Voglio una lettera”.

Siamo rimaste allibite di come lo Stato egiziano abbia risposto al tuo presidio pacifico fuori dal carcere, con un livello di violenza e brutalità inaudito, finendo con un pestaggio avvenuto davanti al carcere e infine con la detenzione di Sanaa in un processo farsa.

Ci rendiamo conto che lo Stato egiziano sta cercando di “sedare” la vostra lotta, usandovi come capro espiatorio per essere da esempio per le decine di migliaia di famiglie disperate, che non riescono ad avere notizie dei propri cari e inoltre sono minacciate dalla diffusione del Covid-19.

Sono dieci mila persone che si trovano nella vostra stessa condizione, a cui per tre mesi hanno negato ogni tipo di comunicazione in questo momento in cui si sta diffondendo maggiormente il Covid-19, mentre circolano notizie che sia arrivato all’interno delle carceri egiziane.

Ti siamo vicine. Solo una madre può stendere una coperta e passare notte e giorno in attesa, dormendo per strada fuori le mura del carcere, nonostante il caldo, la sporcizia attorno, rischiando la propria salute e inoltre ricevere attacchi violenti da parte dello Stato.

In un periodo dove mantenere l’auto-isolamento è una prerogativa per la salute di tutti, ti sei ritrovata a dover rischiare per ricevere notizie di tuo figlio.

Là, davanti alle mura del carcere, era il posto che ti avvicinava a lui, hai chiesto tutti i giorni, con fermezza e calma sconcertante, una lettera che eri sicura avesse già scritto.

Lui è preoccupato quanto tu lo sei per lui. E ora devi preoccuparti anche per Sanaa.

Immaginiamo anche che tu come altre dieci mila famiglie siate particolarmente preoccupate per i vostri figli dopo il devastante destino di Shady Habash, un giovane artista che è morto misteriosamente dopo il secondo anno di carcere preventivo.

Laila vediamo nella tua voce quella di migliaia di donne (madri, figlie, mogli ecc.) di persone detenute ingiustamente in Egitto e altrove. Siamo preoccupate per te dopo la violenza che hai subito e le lampanti violazioni dei diritti umani aggravate dall’imminente minaccia di pandemia.

Per la tua inculumità, e visto che non possiamo essere lì con te, uniamo le nostre voci alla tua, vogliamo una lettera di Alaa.

Inoltre siamo l’eco delle urla di Mona dopo il sequestro di sua sorella più piccola Sanaa, da davanti la Procura Generale: “A chi dobbiamo rivolgerci noi egiziani quando i nostri diritti sono violati e le nostre vite messe a repentaglio? Dove, se anche davanti all’edificio del Procuratore Generale ci viene strappata la nostra libertà?

Sappiamo che niente ti fermerà. Come Sanaa ha detto durante l’interrogatorio prima della detenzione: “Possiamo fare a meno di tutto, ma non della famiglia!”.

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Vicine a Sanaa

Dal marzo del 2020 con il pretesto del Covid-19, i colloqui nelle carceri sono stati bloccati. Sono state negate le chiamate ai prigionieri e le loro famiglie hanno lottato più di prima per procurare ai loro cari: cibo, medicine e disinfettanti.
Questa settimana il processo di Alaa Abdel Fattah è stato nuovamente posticipato.
L’ultima volta che la sua famiglia ha ricevuto sue notizie era tre settimane fa attraverso una lettera.
Nelle ultime tre settimane sono circolate notizie su alcuni casi di Corona Virus all’interno delle differenti carceri nel complesso di Torah, senza informazioni ufficiali da parte delle forze dell’ordine.
La madre di Alaa, Laila Soueif e le sue sorelle, Mona e Sanaa aspettavano quotidianamente di fronte al carcere di Torah sperando di ricevere una lettera.
All’alba del 22 giugno mentre passavano la notte di fronte al carcere, sono state attaccate brutalmente da un gruppo di donne sconosciute, lasciando Sanaa con numerose contusioni e traumi sul corpo e derubandole di tutti i loro effetti personali.
Oggi 23 giugno, Laila, Mona e Sanaa, accompagnate dai loro avvocati si sono recate all’ufficio del Procuratore Generale per denunciare l’accaduto, gli ufficiali hanno rifiutato di farle entrare.
All’arrivo di Sanaa sotto gli occhi di tutti e alla luce del sole, è stata rapita mentre era davanti all’edificio del Procuratore Generale. Con l’arrivo di un pulmino Sanaa è stata sequestrata, mentre era circondata dalla famiglia e dai legali.
Un’ora dopo Sanaa è apparsa di fronte all’ufficio della Sicurezza Nazionale in attesa di interrogatorio.
Sanaa è sotto interrogatorio come imputata e non come accusatrice.
Non sappiamo niente di Alaa e dei suoi compagni di prigionia. Tutta la famiglia chiede una lettera scritta per sapere se Alaa è in buone condizioni di salute in mezzo a questa brutale pandemia.
Sanaa, 15 giorni di detenzione amministrativa, le accuse sono: diffusione di false notizie, incitamento di azioni terroristiche, uso improprio dei social network.

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Il nostro sguardo femminista sul razzismo di Stato

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Assoluzione per Higui

ASSOLUZIONE PER HIGUI

Il 16 ottobre 2016, Higui, compagna lesbica argentina, fu attacata da 10 maschi che odiano le lesbiche. Lei riuscì a impedire il suo stupro correttivo uccidendone uno. Questo provocò che gli altri 9 uomini di merda presenti la massacrassero fino a farla svenire. Si risvegliò in carcere senza ricevere cure e con addosso una denuncia per omicidio.

Grazie alla mobilitazione femminista popolare in solidarietà a lei, è stata scarcerata dopo 8 mesi di carcere preventivo.

Non staremo a dire quanto questa società patriarcale si fonda sulla cultura dello stupro e quanto il suo sistema protegga i suoi scagnozzi. Vorremmo soffermarmi solo a dire che l’azione di Higui ci ha liberato da un uomo di merda, grazie a lei il patriarcato si trova con un maschio stupratore in meno. Come nel caso di Deborah Schiacquatori, ragazza che è stata assolta, per legittima difesa, a maggio 2020 per aver ucciso il padre violento durante l’ennesima lite contro la madre.

Così come Deborah ha difeso la madre e se stessa, così si è difesa Higui per impedire lo stupro che poteva portare al suo lesbicidio.

Il 7 giugno è stato il compleanno di Higui e la Campagna per la sua assoluzione ha iniziato una colletta per aiutarla perché si trova in una difficile situazione economica provocata dallo Stato argentino e la sua “gestione” della pandemia.

Se volete dare un contributo scrivete a:

Karina Andrea Correa Fernández

mail: karinaa.correa1@gmail.com

Vorremo anche ricordare che ad agosto di quest’anno si terrà il suo processo a San Martín, Argentina.

Per fare arrivare la solidarietà, potete scrivere ai seguenti contatti:

Facebook: Campaña por la Absolución de Higui

Twitter: Absolución.Higui, #yotambienmedefenderiacomohigui

Mail: absolucion.higui@gmail.com

 

Solo con l’autodifesa e la solidarietà femminista possiamo distruggere il patriarcato

Assoluzione per Higui!

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Egitto – Aggredita la famiglia del prigioniero Alaa mentre protestava fuori dal carcere

Da https://hurriya.noblogs.org/

Da tre mesi le visite per i detenuti della prigione di Tora, al Cairo, sono annullate. Da due settimane circola anche la notizia che ci siano casi di Covid-19 dentro la galera. Ma non esiste alcuna comunicazione ufficiale. Il regime impedisce ad Alaa e a tanti altri prigionieri ogni tipo di comunicazione con le famiglie o i loro avvocati. 

A maggio Alaa ha fatto anche uno sciopero della fame di 37 giorni per chiedere che ai detenuti fosse permesso di partecipare alle udienze, di comunicare con i propri familiari e per il rilascio dei prigionieri durante l’epidemia di Coronavirus.

Alaa si trova nel carcere di massima sicurezza di Tora, una sorta di 41 bis, in isolamento, senza ora d’aria, libri, posta, e privato di tutto.

Il regime, tuttavia, continua a percorre la sua strada di violazioni e repressione. Così dopo tre settimane senza ricevere alcuna notizia da parte del figlio Alaa, sabato scorso, la dott.a Soueif ha deciso di protestare – per l’ennesima volta – davanti al carcere. 

È lei stessa a raccontare come sono andate le cose:

 Mi hanno fatto aspettare più o meno 5 ore, di modo che tutte le persone venute a fare i colloqui se ne fossero già andate e il confronto con i responsabili davanti alla porta del carcere di Tora non fosse visto da nessuno.

Allora hanno preso quanto avevo portato, cibo, medicine, vestiti intimi e hanno rifiutato di far entrare disinfettanti. Poi però hanno detto “non c’è lettera” da parte di Alaa e allora ho rifiutato di andarmene.

Cercano sempre di far passare la questione come se lasciar entrare le cose dentro il carcere  sia una gentilezza da parte loro. Dopo un po’ di tempo mi hanno detto che avrebbero fatto entrare la mia lettera, ma non ce ne sarebbe stata alcuna da parte sua.

Chiaramente, ho provato a spiegargli che le loro parole sono ridicole dal momento che se non mi danno una lettera di risposta io non posso sapere se consegnano veramente ad Alaa quello che prendono.

Finita la fase delle richieste è iniziata quella della prevaricazione.

 All’inizio mi hanno detto che se rimanevo dentro non potevo avere il telefono con me, al che glielho consegnato (queste erano le ore in cui Mona non riusciva a raggiungermi).

 Dopo hanno iniziato a dire che dovevano chiudere e che dovevo andare fuori, e quando mi sono rifiutata, il colonnello Muhammad al-Nashar mi ha detto che mi avrebbe denunciata. Io ho risposto di farlo pure, poi ha detto che aveva chiamato il commissariato di al-Maadi e che ero in stato di fermo, quindi mi ha preso la mano e ha iniziato a tirarmi verso la porta perché qualcuno del commissariato sarebbe venuto a prendermi. Mi ha strattonato il braccio finchè non mi ha fatto uscire. Io essendo una persona pacifica non reagisco a questo tipo di violenza ???? 

 Appena mi ha fatta uscire hanno chiuso la porta del carcere, lui è sparito e basta.

 Alcuni di loro hanno cercato di convincermi ad andarmene poi sono spariti anche loro.

 Io rimango qua e non me ne vado!

Nella notte tra il 21 e il 22, la dott.a Leila raggiunta dalle sue due figlie Mona e Sanaa hanno deciso di continuare la protesta dormendo in presidio fuori dalle mura del carcere. Più o meno alle 5 di mattina sono state aggredite da un gruppo di donne che le ha malmenate rubando tutto quello che avevano – le borse, i soldi, i telefoni e i documenti – di fronte gli sguardi delle guardie che nonostante le richieste di aiuto hanno deciso di non muoversi, perché in realtà le hanno mandate loro.  

Sanaa scrive su FB:

Hanno mandato delle criminali per picchiarci davanti alla prigione, mentre gli ufficiali e gli uomini stavano lì a guardare. Un uomo in borghese ha soltanto detto: portatele fuori dalla barriera, non picchiatele qui“.  

Scrive Mona in un altro post: 

Credo che ciò che è appena accaduto spiega perché siamo davvero molto molto preoccupate per Alaa e per il fatto di non avere sue notizie“.

Libertà per Alaa

Libertà per tutte e tutti.

Solidarietà a tutta la famiglia di Alaa che nonostante tutto continua a lottare per ricevere sue notizie.

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Grecia – Scioperi della fame nel lager di Petrou Ralli e resistenze agli sgomberi ad Atene

Da https://hurriya.noblogs.org/

Durante e dopo il lockdown in Grecia la lotta delle persone recluse nel centro di detenzione per persone straniere di Petrou Ralli ad Atene non si è mai fermata.

Il 9 giugno, 16 delle 26 donne recluse hanno iniziato uno sciopero della fame. Lunedì 15 giugno 40 immigrati detenuti hanno a loro volta dato vita a un nuovo sciopero della fame, rifiutando il pranzo e reclamando il loro rilascio e l’accelerazione delle decisioni per le loro richieste d’asilo. In serata lo sciopero della fame è stato attuato da 120 persone recluse e continua anche nella giornata di martedì. Le autorità hanno affermato che lo sciopero non è accettabile e deve cessare. I detenuti invece continuano la protesta e chiedono di essere liberati o trasferiti altrove. Martedì 16 giugno l’assemblea popolare di Exarchia ha organizzato un presidio davanti al Ministero per la migrazione e l’asilo per protestare contro le condizioni di Petrou Ralli e per la chiusura del lager.

Sempre nella giornata di lunedì 15 ad alcune persone che avevano ottenuto lo status di rifugiato è stato permesso di trasferirsi ad Atene dal campo di Moria sull’isola di Lesbo, come tentativo delle autorità di decongestionare il lager, dove sopravvivono in terribili condizioni ancora altre 16.000 e più persone. Il governo greco non ha provveduto a fornire nessuna risposta abitativa, e le persone sono state costrette ad accamparsi in piazza Vittoria, prive di tutto. Rifugiatx e solidali hanno chiesto un incontro con il Sindaco di Atene Bakoyannis per pretendere soluzioni sul piano abitativo, ma la risposta è stata l’arrivo di agenti e bus della polizia per sgomberare la piazza. Solo grazie alla presenza di un buon numero di solidali e alla determinazione dei/delle rifugiatx è stato possibile evitare che lo sgombero della piazza avvenisse in giornata. Alle 4 di stamattina mercoledì 17 giugno, con un blitz a sorpresa varie forze di polizia in assetto antisommossa hanno sgomberato piazza Vittoria. Quando i solidali sono accorsi la polizia aveva già costretto, pena l’arresto immediato, circa 80 persone a salire negli autobus per portarle nel campo di Eleonas, nella zona industriale di Atene. Circa 12 solidali sono stat* fermat* e portate nella stazione di polizia. In risposta è stata convocata una manifestazione alle 16 alla metro di Eleonas.

Dal 1° giugno il governo greco ha cominciato ad attuare lo sgombero progressivo delle 11.237 persone rifugiate che finora usufruivano di un alloggio nelle strutture di accoglienza. Ad oggi il governo si vanta di aver già gettato in strada circa 2.000 persone. Sono molte le iniziative organizzate da immigratx e solidali per resistere agli sgomberi avvenute nelle ultime due settimane. Anche oggi a Larissa e Serres si tengono manifestazioni di protesta delle persone che abitano nei due centri sotto sgombero.

Di seguito traduciamo un resoconto dell’assemblea dell’Iniziativa “La casa delle donne” su quanto avvenuto recentemente nella sezione femminile del lager di Petrou Ralli.

Traduzione da: Athens Indymedia

9 giugno 2020:

16 delle 26 donne detenute a Petrou Ralli si sono rifiutate di mangiare. Hanno deciso, ancora una volta, di fare lo sciopero della fame perché non potevano più sostenersi mangiando il cibo orribile che le autorità insistono nel dare loro – cibo che si traduce in malattia, problemi digestivi, vomito e perdita di peso. La misera qualità del cibo è persistita nei quattro anni in cui abbiamo visitato Petrou Ralli, e probabilmente anche prima. Allo stesso modo, il 17 marzo, 9 donne detenute avevano iniziato uno sciopero della fame durato 3 giorni. Ci avevano inviato il seguente messaggio il 3° giorno: “9 donne abbiamo iniziato uno sciopero della fame grave (cioè della fame e della sete). La situazione è terribile e sta peggiorando. Due di noi sono svenute e non hanno ancora ripreso conoscenza. Continueremo lo sciopero della fame fino a quando non saremo libere da questa prigionia. O ci libereranno o moriremo”, seguiti dall’elenco dei loro nomi. In questa occasione, le autorità hanno utilizzato il metodo standard per terrorizzare i detenuti, impiegato in tutte le carceri del mondo totalitario del patriarcato. Le donne sono state chiamate una ad una e un ufficiale di polizia o comandante le ha interrogate e minacciate che se non avessero fermato lo sciopero della fame, sarebbe stato a spese della loro situazione: sarebbe stato troppo tardi per essere liberate o sarebbero state trasferite nella prigione di Korydallos. Il loro sciopero è terminato dopo il terzo giorno. Molte delle nove donne sono ancora dentro. Sfortunatamente Irma, dal 10 giugno, è in quarantena per 15 giorni in Georgia, dopo essere stata espulsa. Il lockdown potrebbe essere finito all’esterno, ma nel centro di detenzione di Petrou Ralli la routine continua indisturbata. Altri due tentativi di suicidio hanno seguito i tre all’inizio di quest’anno.

26 maggio:

Dopo una lunga e particolarmente dolorosa detenzione, una donna non si è sentita più in grado di resistere, assumendo una grande quantità di farmaci psicoattivi. In risposta, è stata applicata la tecnica di repressione più violenta: una tattica legalmente prescritta dalle autorità, ha spiegato il capo dei servizi in risposta alle nostre domande. Una famosa ufficiale che le detenute chiamano “Big Mama” ha ammanettato dietro la schiena la ragazza quasi incosciente per trasferirla in ospedale, sicura che non sarebbe stata in grado di scappare. https://athens.indymedia.org/post/1604878/

9 giugno, martedì:

C’è un altro tentativo di auto-immolazione. Fortunatamente, la donna fallisce nel suo intento quando le sue compagna detenute la intercettano nell’atto. La donna non vede il suo bambino dall’8 marzo, la sera in cui è andata alla stazione di polizia in cerca di aiuto dopo essere stata molestata, per poi finire a Petrou Ralli a causa della mancanza di documenti.

10 giugno, mercoledì:

  1. Ci sono state 3 deportazioni in Norvegia, Albania e Georgia. Le prime due detenute avevano chiesto di essere espulse mentre nel terzo caso si trattava di una serie di manipolazioni ed errori legali che hanno portato alla detenzione della donna per otto mesi.
  2. Dalla mattina, gli agenti hanno iniziato a portare chi faceva lo sciopero della fame una alla volta nell’ufficio degli assistenti sociali di Petrou Ralli per convincerle a interrompere la loro azione per motivi di salute.
  3. Quando il pranzo viene servito al 3 ° piano, lo psicologo sale per parlare con tutte le scioperanti con un meccanismo di repressione più “nobile”. Anche le urla dei pestaggi selvaggi dei prigionieri di sesso maschile al 2 ° piano, secondo la donna, si erano notevolmente ridotte.

11 giugno, giovedì:

La mattina vengono offerti per la colazione: panino, succo di frutta e caffè. Grande lusso per Petrou Ralli e sfida per le giovani ragazze, che non sanno che questo verrà ripetuto allo stesso modo per due o tre giorni, fino a quando ogni forma di resistenza verrà spezzata e si continuerà a nutrire le detenute con gli stessi e invariati ceci crudi per cena, nessuna insalata, tranne un pomodoro avariato che non sempre arriva, e nessuna frutta tranne l’arancia, ecc. Dalle 16 che hanno iniziato lo sciopero si passa a 11. Richiedono che la qualità e il contenuto dei pasti vengano cambiati per fermarsi.

Come Iniziativa “la Casa delle donne” abbiamo contatti costanti con le donne prigioniere ed ex prigioniere a Petrou Ralli e organizziamo incontri con loro quando vengono rilasciate. Raccogliamo beni essenziali da individui e collettivi nel movimento di solidarietà anti-gerarchico e auto-organizzato, un movimento che ha guadagnato slancio durante la pandemia, con un’abbondanza di donazioni per le donne detenute e anche per gli uomini. Ma il nostro obiettivo rimane: chiudere i centri di detenzione e i campi di sterminio per rifugiati e aprire le frontiere!

Nessuno, a prescindere dal genere, merita la privazione della libertà, la violazione dei diritti fondamentali, la tortura di vedere minacciata la propria vita o di essere degradato e maltrattato: tutto ciò sulla base del fatto che è “illegale” a causa della mancanza di documenti.

Sappiamo come vengono gestiti questi buchi infernali, con compiti delegati alle ONG che continuano a trarre profitto dalla crisi dei rifugiati e agli individui con contratti diretti, ad esempio la recente disinfezione degli sporchi centri di detenzione e campi durante la pandemia, o i compagni di affari e parenti dei potenti che approfittano vendendo cibo avariato e cancerogeno ai detenuti, trattati come “spazzatura”.

Estratti da lettere di ex e attuali donne immigrate detenute:

“(…) Immagina che ogni giorno il suono di pianti, lacrime, lamenti e urla di ragazze riempia l’universo, ma alla polizia non importa. Ogni giorno, ogni giorno, ogni giorno, le ragazze urlavano a Petrou Ralli. C’erano madri che erano state lontane dai loro figli per mesi: una quando sentì la voce di suo figlio piangere al telefono, andò ad impiccarsi, ma le altre ragazze lo capirono e le impedirono di farlo.

Ogni giorno una ragazza turca sveniva, mattina e sera.

Un’altra ragazza irachena con diabete doveva assumere insulina in momenti precisi, ma la polizia non ha prestato attenzione. Un giorno chiese a “Big Mama” le sue medicine, ma lei si rifiutò di darle la pillola di insulina e la ragazza perse conoscenza. Dopo due ore, la portarono all’ospedale in manette.

Una ragazza africana che era nel centro di detenzione da tre mesi soffriva di problemi di stomaco, vomitava ogni giorno e non riusciva più a mangiare. Ha chiesto alla polizia più volte di portarla da un medico, ma non è mai successo; divenne così stanca che cercò di suicidarsi bevendo candeggina. Dopo un’ora, l’hanno portata in ospedale ammanettata.

Ci hanno minacciato dicendo che chiunque avesse tentato il suicidio sarebbe stata portata in isolamento, invece di aiutarci e indagare sui motivi del disagio.

Vengono somministrati sonniferi e altri farmaci che non conosciamo per controllare tutte le ragazze in modo che non protestino. Queste pillole sono così forti che se ne prendi una dormi per due giorni e quando finalmente ti svegli sei stordita ed esausta. Sei come uno zombi e non puoi concentrarti su niente. Ti siedi in un angolo con uno sguardo assente.

È stato così difficile sopportare di vivere lì. I prigionieri maschi del 2 ° piano, sotto di noi, hanno gridato tutta la notte per essere portati in bagno e alla polizia non importava affatto. Questa è la verità assoluta. Sono chiusi nelle loro celle giorno e notte. Ogni giorno alcuni uomini cercavano di suicidarsi, ma la polizia continuava a picchiarli.

Spero che questo centro per stranieri venga distrutto. Questa prigione è il nostro incubo. La libertà è l’unica speranza per tutte le ragazze . Possano le grida delle povere ragazze nel centro di detenzione essere ascoltate da tutte le persone in tutto il mondo”

“(…) Sono qui solo perché non avevo documenti. Dove sono quelli che chiamate diritti umani? Con quali ordini? Per quale crimine? Non ho ucciso, non ho rubato nulla. Perché e con quale accusa mi tengono qui, non solo io, ma tutti i/le prigionierx, solo perché non abbiamo documenti? ”

“(…) Mio marito mi molestava e abusava con due suoi amici. Ho rotto con lui e me ne sono andata via con i miei figli. Tuttavia, non potevo scrollarmi di dosso le sue minacce, perciò sono fuggita dal mio paese per proteggermi, e ora sono nel centro di detenzione da quattro mesi ormai, come se non avessi il diritto di vivere una vita normale. Sono molto infelice qui e il cibo è pessimo. Tu che sei una donna dovresti capire il mio dolore. E poiché sono una madre, lotterò per sempre per la mia libertà”.

“(…) Ero in Turchia, dove sono stata violentata perché non avevo soldi. Un uomo mi ha costretto a fare cose che non avrei mai voluto fare e mi ha portato a Smirne, dove ho visto il mare, e l’ho attraversato per la Grecia, in un accampamento su un’isola. Quest’uomo non mi ha lasciato spazio per parlare e mi ha fatto portare alcune cose per i suoi amici. Ad un certo punto, ho colto l’occasione per fuggire ad Atene per proteggermi da quest’uomo, e l’ho denunciato alla ONG «Medici del mondo». Lì mi hanno dato un documento che dimostrava che ero stata violentata. Dopo di che, alcuni mesi dopo, mi ritrovo nella prigione di Petrou Ralli, da dove nessuno sa quando potremmo andarcene, il cibo è pessimo e i bagni sono disgustosi. Ci ignorano quando ci ammaliamo e, a causa loro, molte di noi hanno problemi psicologici. Piango e chiedo aiuto. Sono passati tre mesi e sei giorni da quando sono in prigione. ”

Le mani che producono violenza e repressione sono sempre le stesse. Indossano uniformi, portano armi, sono arroganti, abusano della loro posizione, fanno uno spettacolo del loro potere, vengono autorizzati.

La tortura e il maltrattamento dei detenuti costituiscono reati e dovrebbero essere trattati come tali. E non essere coperti e giustificati con vaghe scuse e razionalizzazioni sulle “pratiche necessarie”.

NO all’abietta brutalità del potere.

NO alla sua legittimazione e impunità.

Alziamo la voce prima di diventare desensibilizzate rispetto all’orrore e alla miseria, messe a tacere dalla paura che cerca di reprimerci.

Siamo contro ogni pandemia fascista e patriarcale!

Sosteniamo le nostre sorelle ribelli che sono in sciopero della fame!

Svuotare tutti i centri di detenzione e i campi profughi, ADESSO!

Consegnare a tuttx i/le richiedenti asilo i documenti e trasferirlx in alloggi che soddisfino i requisiti della quarantena, con le corrette informazioni,

assistenza medica, educazione e dignità.

Nessuna persona illegale, nessuna persona invisibile.

La passione per la libertà è più forte di tutte le prigioni

Solidarietà e auto-organizzazione sono le nostre armi

Assemblea dell’iniziativa: La casa delle donne, per l’empowerment e l’emancipazione

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“Un anno dopo l’episodio della bandiera arcobaleno: il regime arresta, gli islamici applaudono”. Riposa in pace Sarah.

Da https://hurriya.noblogs.org/

https://hurriya.noblogs.org/files/2020/06/sarah-hijazi.jpgDue giorni fa è giunta la notizia della morte per suicidio della compagna Sarah el-Hegazy. Era stata arrestata nell’ottobre del 2017 insieme a 57 altre persone per aver sventolato la bandiera arcobaleno al concerto della band libanese Mashru’ Leila.
Dopo l’arresto è stata interrogata dalla sicurezza di stato, poi arrestata con l’accusa di incitare comportamenti immorali, infine torturata e seviziata dalle guardie in carcere. Uscita dopo un anno, additata e discriminata dalla società, colpevolizzata e accusata dagli islamisti e dagli uomini di religione, con la paura di finire di nuovo in carcere, come succede abitualmente nell’Egitto dei militari, decide di chiedere l’asilo in Canada dove continua a lottare per i diritti delle persone LGBTQI+.
Un saluto e un abbraccio immenso a chi come lei ha lottato fino all’ultimo.

Pubblichiamo la traduzione di una parte di un articolo che aveva scritto sul giornale Mada Masr il 24 settembre 2018, un anno dopo il suo arresto. L’articolo è titolato: Un anno dopo l’episodio “rainbow”: il regime arresta, gli islamici applaudono.

“Portala lì, dal basha

Lo Stato, e in particolare il regime che governa, salafita per capriccio; mentre mi arrestava da casa mia davanti alla mia famiglia, l’ufficiale mi ha interrogato sulla mia religione, sui motivi per cui ho tolto il velo e se fossi vergine o no!

Poi, nell’auto che mi ha portato in un posto che non sapevo cosa fosse, l’ufficiale mi ha bendato gli occhi, ho sceso le scale, non sapevo dove mi portavano. Ho sentito solo la voce di un uomo: “Portala lì, dal basha” in mezzo all’odore sporco del luogo e le voci delle persone che gridano di dolore. Mi hanno fatto sedere, con le mani legate e un bavaglio sulla bocca. Non ne conoscevo lo scopo, non vedevo nessuno e nessuno mi parlava, poco tempo prima che il mio corpo sentisse un brivido. Poi ho perso conoscenza per un po’, ma non saprei dire per quanto tempo.

Era stata una scarica elettrica. Sono stata torturata con l’elettricità! Hanno minacciato di fare del male a mia madre se lo avessi detto a qualcuno, mia madre che è morta dopo la mia partenza.

Non solo il regime mi ha torturata, ma gli uomini del distretto di polizia di Sayyeda Zainab (un quartiere del Cairo N.d.T) hanno incitato le donne del posto a molestarmi sessualmente e verbalmente.

Ma le torture non si sono limitate solo a questo. Ci sono state altre torture psicologiche contro di me, nel carcere di al-Qanater e nella cella d’isolamento dove sono rimasta per giorni e giorni, prima di trasferirmi in un reparto dove mi è stato impedito di parlare con le due donne in cella con me.

Mi è stato impedito di muovermi alla luce del sole per tutta la durata della mia prigionia, fino a quando ha perso la capacità di comunicare con gli occhi con le altre persone.

L’investigatore mi ha chiesto: l’omosessualità è una malattia?

L’indagine, che si è svolta all’interno del quartier generale della Procura di sicurezza dello Stato, è stata un modello di stupidità e apparente ignoranza; l’investigatore mi ha chiesto di dimostrare che l’Organizzazione mondiale della sanità non considera l’omosessualità una malattia. In effetti, l’avvocato Mustafa Fouad ha contattato l’OMS per presentare un documento ufficiale che certificasse che l’omosessualità non è una malattia. Così l’avvocato Hoda Nasrallah ha contattato le Nazioni Unite per avere un altro documento per dimostrare che il rispetto della libertà di orientamento sessuale è un diritto umano.

Di tutto questo abbiamo discusso io e Ahmad Alaa nella Procura della Sicurezza dello Stato.

Le domande dell’investigatore erano davvero stupide. Paragonava il comunismo all’omosessualità, e con tono derisorio mi chiese perché le persone omosessuali si astenessero dal fare sesso con animali e bambini.

Naturalmente non sapeva che il sesso con i bambini è un crimine chiamato “pedofilia” e che il sesso con gli animali è un altro crimine chiamato “zoofilia”.

Non c’è da stupirsi del suo pensiero limitato. Del resto lui vede al-Shaarawi (celebre predicatore star della tv all’epoca di Mubarak di cui fu ministro N.d.T.) come un grande predicatore e Mustafa Mahmoud un grande scienziato (un sedicente scienziato star dell’epoca di Moubarak celebre per aver tentato di dimostrare che tante scoperte scientifiche erano già scritte nella religione islamica N.d.T), crede che il mondo cospiri contro di noi e che l’omosessualità sia una religione che predichiamo. Le basi della sua cultura non sono poi così diverse dai genitori, dagli uomini di religione, dalle scuole e dai media.

Oltre l’angoscia.

E’ una cosa frustrante; ho cominciato ad aver paura di tutti. Anche dopo il mio rilascio ho continuato ad aver paura di tutti, della famiglia, degli amici e della strada mi perseguitavano. La paura è rimasta padrona della situazione.

Ho sofferto di grave depressione, disturbo post-stress, tensione, ansia e attacchi di panico. L’elettroshock mi ha portato problemi di memoria. Prima di essere costretta a viaggiare avevo paura che mi arrestassero di nuovo. In esilio ho perso la mia mamma. Mi hanno fatto di nuovo l’elettroshock a Toronto, ho provato due volte a suicidarmi, balbettavo e evitavo di parlare della prigionia, non riuscivo a uscire dalla stanza, la memoria peggiorava e evitavo di apparire in assembramenti e in pubblico a causa della perdita di concentrazione, della sensazione di smarrimento e del desiderio di silenzio. Tutto questo mentre avevo la sensazione di perdere la speranza nell’efficacia del trattamento e della guarigione.

Questo è ciò che ho guadagnato dalla violenza dello stato, con la benedizione di tutte “le persone religiose per natura”.

Applausi del branco

Non c’è alcuna differenza tra il salafita terrorista con una barba arruffata che vuole ucciderti, perché è in una posizione più alta presso il suo Signore, e per questo autorizzato a uccidere chiunque non assomigli a lui, e un uomo senza barba, che veste con abiti eleganti, ha un telefono moderno e un’auto di lusso, che fa torturare, incita e imprigiona perché ha una posizione più alta presso il suo Signore e tortura coloro che non somigliano al branco e lo fa arrestare.

Chiunque differisca dal branco, chiunque non sia un maschio sunnita eterosessuale e un sostenitore del sistema, lui o lei, fa parte dei morti, degli oppressi e degli emarginati.

Il branco ha applaudito il regime al momento del mio arresto con Ahmed Alaa, il giovane che ha perso tutto per aver alzato la bandiera arcobaleno!

Fratelli musulmani e salafiti alla fine sono d’accordo con il regime al potere contro di noi. Hanno acconsentito alla violenza, all’odio, al razzismo e alla persecuzione.

Questo è il motivo per cui non sono diversi l’uno dall’altro, poiché sono due facce della stessa medaglia.

Non ho dimenticato i miei nemici
Non abbiamo visto aiuto se non dalla società civile, che ha adempiuto al suo dovere nel migliore dei modi possibili, nonostante le restrizioni dello Stato

Non dimenticherò il personale della difesa: Mostafa Fouad, Hoda Nasrallah, Amr Mohamed, Ahmed Othman, Doaa Mostafa, Ramadan Mohamed, Hazem Salah El Din, Mostafa Mahmoud, Hanafi Mohamed e altrix.
Non è possibile descrivere lo sforzo di queste persone con delle parole su carta, ma io ho solo queste.
Pertanto, chiedo scusa agli avvocati e alla società civile per la mia incapacità di esprimere la mia gratitudine se non in parole di ringraziamento.

Un anno dopo il concerto del gruppo Mashuru’ Laila, un anno dopo che i musicisti furono banditi dal tornare in Egitto, un anno dopo il più grande attacco della sicurezza di Stato contro le persone omosessuali, un anno dopo aver annunciato la mia differenza, “Sì, sono omosessuale” non ho dimenticato i miei nemici.

Non ho dimenticato l’ingiustizia che ha lasciato una macchia nera incisa nell’anima che continua a sanguinare, una macchia che i medici non possono cancellare”.

Riposa in pace Sarah,
che il presidente al-Sisi, il suo regime e tutti coloro che lo sostengono possano crepare, in primis lo stato italiano che continua a vendere armi al regime assassino.

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Firenze: solidarietà ad Anna

Da https://femminismorivoluzionario.blogspot.com/

Le Donne in Lotta esprimono la loro solidarietà ad Anna, compagna di Firenze, che sabato notte è stata aggredita alla spalle da 5 energumeni fascisti (come denunciato pubblicamente in un comunicato del Movimento di Lotta Per la Casa di Firenze). Dopo che Anna ha cercato di reagire all’aggressione, i 5 fascisti hanno inasprito la violenza: l’hanno presa a calci nelle costole, le hanno rotto il naso e gli occhiali.
Nell’esprimere piena solidarietà ad Anna, ribadiamo l’urgenza di organizzare l’autodifesa delle donne, sempre più esposte – tanto più in questi momenti di crisi economica e frustrazione psicologica – ad atti di violenza e sopruso. Tante donne hanno subito violenze per settimane rinchiuse nelle case durante il lock down. Ora, nel momento in cui escono (perché i capitalisti hanno deciso che possono uscire per riattivare la macchina dello sfruttamento e della vendita delle merci), rischiano nuove violenze, nelle strade e nei luoghi di lavoro.
Difendiamoci dalla violenza! Abbattiamo questo sistema economico violento e maschilista!
 
Donne in Lotta

 

 

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Medicalizzazione patriarcale

Bisognerebbe parlare del fallimento della medicina capitalizzata e patriarcale, del sistema sanitario nazionale, del sottobosco della sua continua privatizzazione e di tutte le altre molteplici conseguenze sulla pelle delle persone.
Vorrei provare ad aprire riflessioni collettive sulla medicalizzazione delle donne, che credo sia impellente mettere in luce. 
E’ interessante osservare le malattie che colpiscono prettamente le donne e il fatto che vengono gestite con delle modalità pensate appositamente per loro dal sistema medico occidentale patriarcale.
Basti pensare come sia evidente la sistematizzazione della medicina a favore e su misura per l’uomo bianco medio e che pesa intorno ai 70 kg (come si legge sul foglietto illustrativo di una blanda aspirina).
Ma come vengono gestite le malattie che colpiscono le donne? Come viene concepita la malattia nei panni di una donna? C’è veramente equo intervento e attenzione da parte della medicina, dei medici, del sistema sanitario? La salute della donna è valutata rispetto a lei come individuo o rispetto alla sua funzione nella società?
Quali sono le malattie che toccano le donne?
Chissà poi effettivamente qual’è la giusta risposta, difficilmente vengono fatti studi reali sul perché si verificano.
Sicuramente alcune malattie sono già note alla medicina da molto tempo: infezioni a trasmissione sessuale, herpes genitale, vaginosi batterica, gravidanza ectopica, polipi endometriali, prolasso uterino, tumore dell’ovaio, salpingite, endometriosi adenomiosi, tumore HPV-relato(papillomavirus), come vari tumori benigni/maligni uterini, alla vagina, al seno,fibromi, ovaio policistico, dolore pelvico cronico, vulvodinia, vestibolodinia, clitoridodenia,ipertensione del pavimento pelvico, ecc…Tutto questo rappresentsolo alcune delle patologie al femminile.
La maggior parte delle malattie sopraelencate non rientrano però nelle malattie invalidanti o a carico del sistema sanitario, per alcune solo a uno stadio molto avanzato che compromette pesantemente la sopravvivenza della donna. Molte vengono chiamate “malattie rare” (che poi così rare non sono) di cui nella maggior parte dei casi “non si conosce la causa”.
Sono malattie sistemiche che molto spesso sono correlate tra loro, insieme ad una serie di altri disturbi che finiscono per colpire tutto il corpo e l’intero sistema dell’organismo(vaginiti, cistiti, candida, infezioni batteriche continue e problemi intestinali /gastrici correlati, fegatoreni e vescica compromessi, disfunzioni motorie, problemi alla tiroide,malattie autoimmuni, problemi al sistema immunitario, nervoso, endocrino ecc).
Gli ospedali hanno poco tempo per occuparsi delle pazienti, con tempistiche di attesa di 6 mesi minimo, senza un riscontro sulle cure farmacologiche utilizzate.
Le sole visite a disposizione che evitino attese infinite e conseguente peggioramento della malattia (o malattie), sono visite private in cliniche private. Quante donne possono permettersi visite continue che costano 200 o più euro a seduta e che richiedono spesso spostamenti in altre regioni?
Perché per le donne ci vuole così tanto tempo per avere una diagnosi di queste malattie e per arrivare a dei risultati di miglioramento e guarigione?
Oltre agli aspetti problematici “pratici“ offerti dal sistema sanitario patriarcale, la prima causa deriva dalla continua ossessione che le donne siano malate a livello psicologico-psichiatrico; che vogliono attirare l’attenzione e che soffrono di ipocondria, permettendo così che passino anni in cui non si viene credute (per l’endometriosi, ad esempio, ci vogliono dagli 8 ai 9 anni per una diagnosi); e in ogni caso, come dice la società, le donne possono e devono soffrire.
È una loro responsabilità gestire il dolore.
Uno degli unici effetti noti alla medicina per alcune di queste malattie riguarda problemi per il concepimento e la maternità. Come se poi qualsiasi altra conseguenza di operazioni/interventi per le malattie in questione non sia considerabile
A tutto questo poi si aggiungono effetti “meno noti”come dolore cronico e le conseguenze che ha nella vita quotidiana per la propria serenità, nel lavoro c’è un grande rischio di essere licenziate o di non riuscire a lavorare, il giudizio di essere inabili e inutili da parte degli altri. Nella sfera sessuale, alla frustrazione e al dolore si aggiunge spesso la punizione eterosessuale patriarcale di non soddisfare l’uomo, lo stress dei limiti fisici ed emotivi che comporta e la passività di reazione percepita, l’incomprensione di chiunque, l’ansia, la paura di provare dolore e che qualcosa peggiori di nuovo.
Poi le medicine, una quantità industriale di medicine; partendo dalle più disparate come “blandi “ FANS antidolorifici, antinfiammatori, antibioticiprotettori gastrici,anticoncezionali vari, ecc…E poi varie di ogni tra integratori, vitamine e simili, pomate, gel, ovuli, fino agli oppioidi, miorilassanti e psicofarmaci.
Ma ciò non è degno di essere chiamato invalidante. Perché tocca le donne
La medicina è per le donne come la medicina del lavoro: serve a misurare se si è abili o meno al lavoro riproduttivo non riconosciuto e quant’è la nostra docilità di oggetti sessuali inclusi nel pacchetto.
Le visite mediche aprono molteplici esempi di esperienze allucinanti, di rabbiapaura e messa in discussione della propria lucidità fino a credere di essere impazzite, come dicono loro, i “grandi detentori della conoscenza medica”Loro che sanno tutto, se hai un problema sei tu che stai sbagliando qualcosa, perché non sai. Non puoi sapere neanche cosa senti.
Arrivano a sostenere che per noi donne qualsiasi dolore è frutto della nostra preoccupazione.Non esiste come lo sentiamo, siamo noi a crearlo.
E come si svolgono le visite mediche rende bene l’idea del corpo oggetto, sul quale si testa il corretto funzionamento e gli eventuali difetti di fabbricazioneNon esiste riguardo per l’intimità del corpo, non esistono corpi diversi con forme e misure diverse, non esistono discrezioni ma solo giudizi e commenti sul nostro aspetto, sui nostri comportamentiorientamenti sessuali, sulle nostre emozioni, su come siamo vestite, sulla nostra classe sociale, sul paese di appartenenza. Veniamo toccate, schiacciate, manipolate, tagliate e ricucite. E dobbiamo farlo in silenzio, respirando, abbiamo l’obbligo di rilassare il nostro corpo a comando.
Tutto questo avviene in una bolla di vetro senza controllo del tempo, i minuti scorrono velocissimi, non esiste tempo per respirare e pensare, né per rivestirsi, né per dire la propria. E si esce dalla bolla, due metri per due con 8 medici dentro, senza sapere bene cosa sia successo.
Come se non fosse ancora il tuo turno, come se non ci fossi tu li dentro a parlare con loro.
Perché non si parlava di te, si giudicava una donna, e il suo non saper affrontare il dolore.Si parlava di psicofarmaci e psicologi perché sei debole, sei fortunata pesi 35 chili e non devi fare la dieta, che puoi essere disposta al sesso come lo vuole tuo marito/compagno ma devi prendere le medicine. Dipende da te. E se non fai tutto ciò, non sei responsabile verso te stessa e puoi essere una pessima madre per i tuoi figli. Questi ricatti infiniti ci sgretolano rendendoci malleabili, annullandoci completamente su ogni fronte.
In questa non scelta, in questa morsa di paura, ancora una volta ci vogliono costrette e zittite.
Ma non potranno violare e toglierci ciò che è nostro, il nostro corpo siamo noi.
Siamo state bruciate perché avevamo capito la sinergia tra la cura della natura e del corpo, perché ne difendevamo la potenza e ne avevamo la conoscenza. Siamo ancora qui che lottiamo per riprendercelo. Questa è una chiamata a tutte per tramandare e diffondere ciò che continuiamo a scoprire, per unirci in questa lotta, perché non ci avranno mai rinchiuse e pietrificate,
per urlare in coro:
TREMATE TREMATE LE STREGHE SONO TORNATE 
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